Dipendendo, da neonati abbiamo sviluppato indipendenza, e proprio intessendo altre relazioni e dipendenze, da adulti cresciamo ancora infinitamente indipendenti. Ma ogni sviluppo emotivo ha le sue faglie, a volte tali da rendere l’indipendenza un’apparenza, e la dipendenza un’impotenza. 

Per liberarsi dalla sofferenza di questa crescita mancata che rende la vita un ostacolo sempre troppo alto e le emozioni un sentire incomprensibile, in ogni epoca le sostanze di abuso hanno promesso calma, eccitazione, stati di coscienza non ordinari. In una parola: dipendenze patologiche. Come tentativo inconscio di autocura, di elusione delle fragilità, di illusoria autonomia. 

Per chi offre la disponibilità delle sostanze le fragilità non sono opportunità di cura, ma di guadagno. E nelle società odierne, in cui viene offerta una moltiplicazione di piaceri anche senza sostanze, le dipendenze (affettive, da lavoro, da social, da gioco d’azzardo, da esercizio fisico) in parallelo si moltiplicano, e così i guadagni. Ma poiché ad impoverirsi sono la psiche e l’umanità, occorre che tutti comprendiamo non solo perché si diventa patologicamente dipendenti, ma anche come chiunque possa offrire ascolto e aiuto, in un gesto collettivo che diventi al tempo stesso  terapeutico e politico.

Direttore del Dipartimento di Salute Mentale della ASL 2 Abruzzo e presidente dell’Associazione Esplorazioni Psicoanalitiche (AEP). Autore di articoli scientifici e di testi psicoanalitici, psichiatrici e artistici, è relatore in congressi nazionali e internazionali, TEDx speaker e conduttore di workshop esperienziali.

Si dedica al trattamento psicoterapeutico delle patologie più gravi, all’esplorazione dei processi creativi dei pazienti psichiatrici e alla realizzazione di progetti di promozione collettiva della salute mentale, unendo psicoanalisi, arte e neuroscienze in un approccio innovativo e multidisciplinare.