
La Grande Madre
Gina Babić
[ ITA ]
Materiali: grès, smalto rosa, terra
Dimensioni: 40 × 24 × 26 cm
Anno: 2024
La Grande Madre richiama la figura archetipica della divinità generatrice, legata al ciclo eterno di nascita e morte. L’opera, ispirata anche al Regno delle Madri nel Faust di Goethe, si presenta come un corpo unico e bipartito, dai volumi generosi e femminili, che convergono in una cavità centrale. Qui, le forme alludono al grembo e ai seni, ma ciò che dovrebbe essere culla di vita si rivela assenza: il ventre è una voragine orbitale, i seni sono aridi.
La scelta di uno smalto rosa, viscerale e caldo, amplifica lo scarto tra promessa e negazione, evocando tanto il nutrimento quanto la ferita. La maternità, normalmente celebrata come potenza creatrice, si mostra anche nel suo lato traumatico: peso, esaurimento, svuotamento.
L’opera si inserisce nella tradizione della rappresentazione della Natura come Madre Terra, ma ne ribalta la retorica: la prosperità apparente è smentita dai vuoti, i corpi pieni sono gusci ingannevoli. Il falso diventa così strumento per rivelare il vero: un pianeta esausto, impoverito, che porta sul proprio corpo le tracce di una maternità lacerata e al limite della resa.

Fotografie di Gina Babić
Gina Babić
Artist Type
Gina Babić è un’artista abruzzese classe ’95. Dopo aver concluso gli studi superiori a Teramo, si trasferisce a Roma per iscriversi alla Facoltà di Medicina. Approda per gioco alla ceramica nel 2020, dedicandovisi con maggiore concretezza solo dal 2022. Nello stesso anno, dopo una breve esperienza di residenza collettiva presso Esthia, a Trastevere, fonda, con le stesse compagne, VIA VAI, associazione culturale con sede nel cuore di Testaccio. Partecipa a numerose mostre collettive sul territorio nazionale e, nell’estate 2024, si aggiudica la seconda edizione del Progetto Mentore ideato da Alessandro Giansanti di AGARTE Fucina delle Arti, che si conclude con una prima mostra personale dal titolo “URGENZE” presentata ad aprile 2025 negli spazi di Studio Campo Boario a Roma.
Modella l’argilla unicamente a banco e predilige la tecnica del colombino poiché più permissiva e adatta alla costruzione di forme irregolari, che il più delle volte nascono dalle suggestioni fornite dall’ambito medico. Partendo dagli spunti formali del mestiere, crea oniriche chimere anatomiche che esplorano in senso contemporaneo il concetto di barocco e affrontano tematiche attuali quali la corrispondenza fra crisi climatica e crisi identitaria delle nuove generazioni, la somatizzazione del trauma e la fragilità della psiche. Il meccanismo narrativo è spesso la deformazione, intesa come evasione dalla forma e dalla regola.
Artist Statement
Il lavoro di Gina Babić racconta, attraverso il medium della ceramica, le tensioni tra corpo, identità e memoria. Le sue opere, caratterizzate da forme irregolari e superfici segnate da bozzi e nodosità, trasformano l’argilla in un archivio di traumi e riflessioni esistenziali. Privilegiando come meccanismo narrativo la deformazione – intesa come evasione dalla forma e dalla regola – spinge le potenzialità della materia oltre i suoi limiti tradizionali, esaltandone il carattere instabile e fluido. La ceramica, solida e densa, diventa un velo sottile attraverso cui trasparisce la sofferenza del corpo-scultura, che giunge all’estrema deformazione in risposta all’esigenza di contenere ciò che altrimenti straborderebbe.
La deformazione è intesa quale metafora della somatizzazione, fenomeno squisitamente umano che consiste nel rendere organico – dunque nel proiettare sul corpo – un conflitto psichico, con manifestazioni a carico dei diversi apparati. La materia può quindi esuberare rispetto al vincolo fisico che la costringe: il contenuto può deformare il contenitore, vincendo persino le leggi della fisica.